IL CORPO NON MENTE

 IL CORPO NON MENTE E’ sempre intrigante entrare nello studio di uno psicanalista e vedere come è organizzato il suo spazio di lavoro. In quello di Luciano Marchino, psicoterapeuta bioenergetico di Milano, c’è una grande sala vuota con il pavimento di legno, un’altra stanza con le due poltrone classiche dell’analisi e poi, in un angolo, un grande cubo di gomma piuma rivestita di vinile e un materasso  blu elettrico. E’ subito evidente che in questo studio non si sta solo seduti a parlare. Una parte protagonista del suo lavoro, proprio come è nella tradizione della Psicologia Somatica ( la terapia che affonda le sue radici nelle teorie di Reich e di Lowen) ce l’ha infatti il corpo.

Il corpo umano che, con la sua stessa struttura fisica, ci racconta come si è formata la personalità di un individuo con una precisione che ha consentito di tracciare una vera e propria mappa dei nostri modi di essere. Il libro scritto da Luciano Marchino e dalla giornalista Monique Mizrahil  (Il corpo non mente, Frassinelli, 15 euro)  nasce dall’esigenza di sintetizzare molti anni di lavoro clinico e, allo stesso tempo, di guardare un po’ più in là. Perché il panorama dei caratteri umani non è immutabile, come nelle fiabe di Esopo, e nel corso del suo sviluppo la  società mette in ombra alcuni caratteri umani e ne fa nascere altri. Secondo la Psicologia Somatica possiamo leggere nel corpo  la storia di una persona.  Vien da pensare, allora, che sia anche possibile leggevi qualcosa che è più grande della storia individuale e che riguarda il collettivo. Qual è insomma il corpo che emerge nella contemporaneità? La storia individuale è sempre relativa a un contesto più grande. Quando, per esempio,  mi hanno chiesto di tenere un corso di counselling somatico relazionale in India ho risposto che prima avrei dovuto andare lì e capirci qualcosa. Cosa posso sapere di un indiano del kashmir, della sua vita le sue relazioni?  Non si può esportare una tecnica di lettura del corpo, che ha studiato sempre e solo gli Occidentali, senza confrontarla  con la cultura e i condizionamenti del luogo. Cosa sta succedendo, allora, al corpo degli occidentali? Tutte le sfumature del carattere narcisista -nel libro ne abbiamo riportato la tipologia centrale  che noi chiamiamo ‘psicopatica’- dominano ormai l’Occidente più industrializzato. I valori del successo, dell’acquisizione materiale, hanno spazzato via le ideologie degli anni Cinquanta. Sessant’anni fa la rigidità delle strutture mentali era dominante e, di conseguenza, era dominante una struttura corporea e caratteriale che noi chiamiamo, appunto, ‘rigida’. La sessualità era dominata da tabù molto forti e le persone si attenevano a  regole precise. E tutto questo accadeva in modo naturale, perché erano state interiorizzate durante lo sviluppo ed erano diventate parte integrante  del modo di comportarsi  della persona. Oggi  le regole morali sono diventate molto elastiche. E’ come se fossero state messe lì apposta per essere manipolate e infrante. L’uomo di successo, che magari ha un po’ barato sulle regole, viene lodato e non certo criticato per questo. Carattere’ psicopatico’. Cosa significa esattamente? Significa il dominio totale della mente sul corpo. La persona è esclusa dai propri sentimenti e interpreta tutto a proprio vantaggio. E’ un carattere in cui è molto forte la separazione tra il corpo e la mente. E si tratta di un comportamento che, ripeto, è molto premiato, socialmente. C’è un altro carattere studiato dalla Psicologia Somatica che rivela una separazione tra il corpo e la mente altrettanto importante, ed è quello che noi chiamiamo ‘schizoide’. Ma il tipo schizoide è una persona che tende a isolarsi dal mondo e non cerca di gestire situazioni di potere. A proposito del carattere ‘psicopatico’ lei  scrive: “Si sente che sta dicendo una cosa, ma sotto c’è qualcos’altro. Contemporaneamente si riceve da lui il messaggio: Sono la soluzione del tuo problema”. Sembra il ritratto di un uomo politico. I politici assumono spesso dei comportamenti di tipo psicopatico. Il politico è la persona che si presenta sempre come la soluzione dei problemi dei suoi elettori. Con la caduta verticale delle ideologie, sia cattoliche che comuniste, c’è stato anche un calo di interesse per l’ etica. La cosa più importante è raccogliere consenso. Di conseguenza i programmi politici, come dimostrano le elezioni americane, si basano soprattutto su inchieste di mercato che cercano di sondare cosa la gente desidera. I politici promettono che, votandoli, l’avrà. L’etica è stata sostituita dal marketing. Nel libro sottolinea l’aspetto manipolativo del carattere psicopatico. In quali modi allora è possibile riconoscerlo? E’ diventato quasi impossibile, perché il carattere psicopatico crede veramente di poter essere la soluzione dei tuoi problemi. Il suo enorme successo si basa su una grande convinzione: lui è il migliore e  farà meglio dell’altro. Riesce  a convincere prima di tutto se stesso. E, proprio per le  caratteristiche della sua personalità, dà molto più credito a quello che ha nella sua mente che alle ragioni obiettive. Questo carattere è convinto fino alla ultima cellula del suo corpo di essere nel giusto. Se si pensa di essere nel giusto, anche  le manipolazioni vengono ritenute ovvie e necessarie. Un altro carattere emergente raccontato nel libro è quello definito simbiotico. E’ un carattere che stiamo ancora studiando e di cui stiamo raccogliendo i casi clinici. Tutte le volte che nei seminari di supervisione emergevano situazioni di cui non si capiva niente, in base alle mappe che avevamo elaborato in passato, si era sistematicamente alle prese con qualche tratto del carattere simbiotico. Si tratta di un carattere molto sfuggente, che passa da stati di benessere che sfiorano la beatitudine  a stati di disagio molto, molto profondo. Perché emerge solo nella nostra epoca? Uno dei fattori che contribuisce alla formazione di questo carattere è l’impossibilità di esplorare serenamente il territorio quando si è ancora molto piccoli, nella fase che va dai 18 ai 25 mesi. Nel corso di uno sviluppo armonico, il bambino si allontana dal genitore, indaga il mondo attorno a sè, osserva, sperimenta e quando torna da lui trova incoraggiamento, viene lodato. Oggi, anche per fattori oggettivi come l’urbanizzazione, questa esplorazione viene fortemente limitata. Il bambino quando torna dall’esplorazione spesso trova l’ansia di un nonno che non ha nemmeno la forza fisica per supportare le sue ricerche. Invece di una rassicurazione trova la paura per i mille pericoli e una rappresentazione terrifica del mondo. D’altra parte le istituzioni, come gli asili nido, non possono sostituire il genitore in questa funzione. Nel libro lei  spiega che una delle caratteristiche del carattere simbiotico è di essere soggetto agli attacchi di panico. Le crisi di panico sono molto frequenti anche  in tutti i caratteri dell’area narcisistica, come lo psicopatico, che  tendono a esaurire le proprie risorse a favore dell’immagine e dell’apparire. Il simbiotico esaurisce le sue energie per compiacere il suo interlocutore di riferimento, la madre soprattutto e il padre. Ma voler compiacere i valori e le aspettative  della famiglia di origine o del partner, o dei colleghi di lavoro, ha un costo molto alto. Come esseri umani abbiamo infatti una via molto diretta per comprendere quando una cosa è buona per noi e quando non lo è:  la risposta dell’organismo. Se qualcosa mi  dà piacere mi muovo in quella direzione, se mi dà dolore mi allontano. Nel carattere simbiotico non c’è più questa guida chiara. Se privilegia i valori, i bisogni del suo interlocutore, tradisce almeno una persona: se stesso. Nel  libro appare come uno dei caratteri con un io più fragile. Ha  un io molto fragile perché non ha la difesa dello schizoide che, quando lo stress aumenta,  scappa, evade emozionalmente,  si congela o, letteralmente, se ne va. Cambia città, scompare. Il carattere orale tende a collassare, ma mantiene una maggiore  integrità dell’io.  Il simbiotico ha un io diviso tra i propri bisogni e i valori culturali. Va in frammentazione si spezza in due. Quando i livelli di stress aumentano troppo, si sente perso: non è più in grado di fare quello che il mondo si aspetta da lui  e non è nemmeno abituato a sentire di che cosa ha bisogno. Non ha più punti di riferimento e gli manca la terra sotto i piedi. Ecco l’attacco di panico. Se  i corpi e le strutture caratteriali degli Occidentali sono così cambiati, negli ultimi decenni, che ne è dello stile della terapia? Nel suo libro presenta la Biosofia, un novo approccio terapeutico. La Biosofia non è un nuovo approccio terapeutico, ma un nuovo atteggiamento relazionale che si sviluppa all’interno dell’analisi bioenergetica. L’obiettivo della Biosofia è  un apprendimento il più possibile libero da preconcetti culturali. Si tratta di seguire la persona, apprendere dalla persona stessa e aiutarla a realizzare le sue spinte esistenziali. Un approccio quindi completamente diverso rispetto alla Bioenergetica o alle terapie in voga negli anni Settanta. In molti di quegli approcci si rischiava di sostituire nel cliente un comportamento ritenuto svantaggioso con uno ritenuto vantaggioso. Nella prima  Bioenergetica funzionava così: se il cliente non era in grado di affermare le proprie ragioni, lo psicoterapeuta lo metteva  davanti a un cubo di gomma e glielo faceva colpire,  finchè questi non riusciva a sentire la propria forza. Il rischio, in questo caso, è di scambiare gli obiettivi del terapeuta con quelli del cliente. La Biosofia parte da un principio diverso: la persona ha già in se’  il modo per raggiungere i suoi obiettivi. Possiede già le connessioni psichiche ed emozionali necessarie, che  sono state però inibite o non sufficientemente nutrite. Lo psicoterapeuta con fa altro che creare il contesto giusto perché queste possano riemergere. In concreto questo che cosa  significa? Per fare un esempio: uno degli strumenti più importanti utilizzati in Biosofia è il contatto nutritivo. Non sono così rare le persone che hanno avuto pochissimo contatto fisico con i genitori. Si ritrovano, magari in età adulta ad essere toccate dal dottore o dal massaggiatore, da terapeuti dunque. Oppure solo dal partner. Non conoscono letteralmente un contatto  fisico che sia privo di valenze mediche o erotiche. In questo caso sperimentare un contatto nutritivo riapre un mondo di possibilità inimmaginabili prima. E’ come se la persona ricevesse direttamente attraverso il corpo l’informazione di quello che le è mancato. Allora non serve più a niente dire arrabbiati e picchia il cubo. Il risentimento, la rabbia, se  emergono, emergono direttamente dall’interno, dalla coscienza del torto subito,  non dall’ideologia o dall’aspettativa dell’analista. (Intervista di Rosela Denicolò pubblicata su DRepubblica)

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